
Per crescere ulteriormente molti sono i driver che ci dovrebbero muovere. Il primo sembra però la capacità di integrare culture differenti e di muoversi con agilità nell’intricato marasma di normative a noi estranee, senza servizi pubblici a sostegno. Le nostre imprese sono sole e possono contare su competenze scarse e limitate. E’ a questo livello che la mobilità internazionale del lavoro diventa strategica, un fattore critico di successo: l’osservatorio favorito dalla nostra survey “Espatriati Italiani e Stranieri in Italia: politiche e prassi gestionali” (Fonte ECA Italia 2018) ci segnala che nel 49% delle assegnazioni all’estero di Manager e Specialisti la motivazione a monte è il trasferimento di conoscenze tecniche e know how, il 22% è l’esercizio di controllo da parte della Corporate ed il 12% colmare un gap di competenze. Solo l’11% è connesso allo sviluppo carriera.
Come operatori che affiancano le imprese nei loro processi di internazionalizzazione crediamo sia necessario superare un semplice approccio tecnico professionale sul singolo elemento fiscale o normativo, per assumere un atteggiamento maggiormente propositivo, capace di muovere tutte le leve gestionali necessarie per agire con determinazione e velocità sullo scacchiere internazionale. Dobbiamo far crescere una cultura direzionale orientata a mercati sempre più globali, dove l’integrazione culturale si fonda con specifiche competenze tecniche ed amministrative. Una corporate nuova per un nuovo modo di lavorare sul mercato globale.
a cura di
Paolo Iacci, Presidente Eca Italia
